giovedì 3 marzo 2011

Un melo per le donne

Questa è la proposta di DORA donne della valle d'Aosta per l'otto marzo 2011
partecipate numerose, in un altro blog spiegherò meglio cos'è DORA



sabato 13 novembre 2010

E SE PARLASSIMO DEL "CLIENTE"?

Il Testo che segue sono le riflessioni a margine del convegno organizzato il 10 ottobre a Torino dall’Associazione Maschileplurale, leggete con attenzione, in un epoca in cui si parla di escort e di prostituzione, forse è arrivato il momento di parlare di clienti?

“Non è strano che per la donna che si prostituisce esistano molti “nomi” – prostituta, puttana, escort, mignotta, bagascia, troia, lucciola ecc. – per lo più infamanti, mentre per l’uomo che paga per comprare il suo corpo circola finora solo il neutro sostantivo “cliente”?
Pone con una certa veemenza questo interrogativo linguistico l’avvocata torinese Romana Viliani: come chiamiamo il “lui” della situazione? Sono stanca di sentire dire “clienti”. Cliente è chi compra un prodotto da un’azienda o in un supermercato, non “chi acquista carne umana: il corpo è un valore fondamentale della vita”.
Si vorrebbe insomma un nome eticamente più impegnativo. Ma la parola non viene. “Prostituente”, oppure “prostitutore”, azzarda Marco Deriu. Tra i presenti qualcuno dice :“Silvio!”, suscitando ilarità. C’è poco da ridere, però.
Lo scambio si svolge domenica 10 ottobre a Torino, nell’incontro organizzato sul tema prostituzione e tratta dall’associazione maschileplurale, con la partecipazione di associazioni che si occupano attivamente di combattere la schiavizzazione di chi si prostituisce, di tutelarne i diritti e la salute, di agire per sostenere chi da quella condizione vuole uscire.
Il confronto – molto intenso – con le associazioni è stato preceduto da una giornata di riflessione e di scambio tra una trentina di uomini di maschileplurale. Alle spalle anche un lavoro di discussione nei gruppi maschili di diverse città: Torino, Bari, Roma, Verona, Pinerolo, Napoli.
La questione linguistica sollevata individua probabilmente un salto simbolico che sta avvenendo nel senso comune. Il ricorso alla prostituzione non è più considerato “normale”. Il comportamento del “cliente” non è più accettato come una cosa lecita.
……………………….Gli spunti di riflessione sono stati molteplici e dovranno essere meglio documentati e ripresi. Anche perché la “due giorni” torinese è stato un inizio. Un lavoro dovrà seguire.
Di Alberto Leiss dal sito www.donnealtri.it

domenica 6 giugno 2010

UN CONSIGLIO DI LETTURA


Un libro di Altraeconomia curato da Elena Sisti e Beatrice Costa

Le donne reggono il mondo. Lavorano più degli uomini, si fanno carico del “welfare domestico” quotidiano, gestiscono l'economia e il denaro con più lungimiranza, in situazioni di crisi, in casa o nella propria azienda. Eppure in tutto il mondo guadagnano meno e sono meno rappresentate nelle istituzioni, nei Parlamenti e nei consigli d'amministrazione delle imprese. Queste pagine sono un punto di vista, diverso e plurale, per comprendere i motivi di tali diseguaglianze e “cucinare” un futuro diverso. 12 conversazioni per dare voce alle intuizioni di esperte e studiose le cui opinioni spesso si perdono tra quelle gridate degli uomini e che raccontano un'altra economia, fatta non solo di profitti, ma di relazioni, di cura delle intuizioni, di attenzione alle prossime generazioni. L’economia, il welfare, il lavoro, le leggi e la tutela dei diritti, l’accesso al cibo, i cambiamenti climatici, l’urbanistica in una prospettiva di genere e nelle parole di Simona Beretta, Marina Terragni, Ann Pettifor, Monica D’Ascenzo, Manuela Naldini, Francesca Bettio, Paola Villa, Beatrice Costa, Liana Ricci, Silvia Macchi e Stefania Scarponi.

Elena Sisti si occupa di ricerca economica, è esperta in particolare di sviluppo e sostenibilità
Beatrice Costa si occupa di ricerca su diritti delle donne e politiche di genere per ActionAid

LE DONNE E IL LAVORO

Di seguito, per sollecitare una riflessione, uno stralcio dall'articolo di Rossana Rossanda sul Manifetso in merito alle proposte contenute nel Manifesto sul lavoro femminile della Biblioteca delle donne di Milano, in particolare sul fatto ceh le donne dovrebbero diminuire il lavoro per dedicarci ai figli

Madri flessibili

Scrivono ora Lia e le donne di via Dogana: ma è una disgrazia? Non saremmo più felici se ci facessimo guidare dal desiderio invece che dalle passate ideologie, che ci hanno stretto al lavoro fisso e a tempo pieno, strozzando il nostro bisogno di stare con i figli? D'altra parte il desiderio ci suggerisce di essere madri, ma anche di accedere a quella ricchezza di rapporti che il lavoro domestico riduce. Lavoro è fatica ma anche socialità, a volte perfino una soddisfazione. Non solo sfruttamento. Diciamo dunque due volte sì, alla maternità e al lavoro.

Però, per essere vivibile il «doppio sì» non può comportare sedici ore di lavoro al giorno, otto pagate in azienda, due nei trasporti e sei in famiglia non pagate: si crepa di fatica. Guardiamo con occhio benevolo al tempo parziale, al contratto flessibile e atipico che l'impresa ci offre più facilmente. Riduciamo il tempo del lavoro esterno, facciamo quattro più due più quattro, o flessibilizziamolo, calcolandolo non a tempo (che troveremo nei pertugi) ma a risultato. Insomma mamma e impresa si possono incontrare, l'impresa gradisce avere una lavoratrice, come si diceva una volta dell'auto, just in time, e la mamma ha bisogno di essere più libera. Così il lavoro si femminilizza, aggiunge qualche amico entusiasta: le donne sono sempre di più, per meno tempo, più flessibili, non hanno la fissa della lotta di classe, della rigidità delle norme e dei diritti, d'un impiego pieno per la vita e con pensione successiva. Nel loro tempo, breve e articolato, portano le loro assai tradizionali qualità, precisione, cura, fluidità, scarsa conflittualità.

Bel quadro ma non convincente. Sono i tempi e i conti che non tornano. Per realizzare felicemente il doppio sì occorrerebbero due condizioni; che il servizio pubblico garantisse una struttura professionale semigratuita per accudire la casa e i bambini mentre lei lavora, e che l'impresa pagasse la lavoratrice almeno come un uomo, dovendo provvedere a una piccola creatura. Se non ci sono queste due condizioni, come è stato in alcuni paesi scandinavi, il mezzo tempo non basta per vivere e tanto meno per pagare l'altra donna cui affidare la casa e i figli.

Il miraggio del welfare state

Le due condizioni in Italia non ci sono. Salvo in alcune città, il servizio pubblico non esiste o è ai minimi, e la Ue non fa che chiedere di ridurre la spesa pubblica almeno fino al 2013. I salari (per non parlare della mancanza di impieghi in tempo di crisi) tendono a degradarsi al precariato, che obbligandoti a pensare al mese in cui sarai sospesa, non ti invita certo a programmare una maternità. Paradossalmente, la proposta della Libreria implicherebbe quella società comunista a redistribuzione totale e mirata, che è stata buttata alle ortiche anche come miraggio da trent'anni in qua. E non abbiamo anche noi sussurrato, se non sbaglio, meno stato più mercato?

Nel mercato, e per di più deregolato, la cura della casa e di un figlio va pagata, a meno di non metterlo gratis sulle ginocchia di qualche nonna o zia, eternizzando la gratuità del lavoro femminile di cura, che solo chi non lo ha mai fatto può ritenere tutto gioia e piacevolezza. Nel mercato, con i pochi soldi che abbiamo, cercheremo di pagare la badante (come la chiama Bossi) il meno possibile; e non c'è limite alla corsa in basso delle remunerazioni in tempo di penuria, così anche noi mettiamo un ginocchio sul collo delle migranti. Stiamo male tutte e due perché le statistiche europee confermano che le donne sono retribuite (se va bene come in Francia) il 20 per cento meno degli uomini. In un'occupazione regolare.

domenica 30 maggio 2010

Un UOMO, le DONNE e una POESIA

ho appena letto questa poesia di Edoardo Sanguineti e ve la voglio regalare........

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

da “Il gatto lupesco (poesie 1982-2001)” Feltrinelli

venerdì 23 aprile 2010

RICONOSCERE I MILLE VOLTI DELLA VIOLENZA





La prima campagna pubblicitaria che vuole aiutare le donne a non scambiare la violenza per amore e a reagire prima che sia troppo tardi. Una campagna che può essere adottata da chiunque. E i primi sono i due giornali diretti da una donna: l’Unità e Il Secolo d’Italia.

Questa campagna contro la violenza sulle donne è diversa da tutte le altre. Perché è un regalo che vogliamo passi di mano in mano.
Ma è diversa anche perché non troverete né occhi pesti, né occhi bassi. Non vogliamo mostrare altre donne nel ruolo di vittime. Non vogliamo che le più giovani tra noi a quel ruolo si sentano ancora inchiodate e condannate.
Ha l’ambizione di essere la prima campagna preventiva sul tema della violenza.
Vuole ricordare soprattutto alle giovani donne
che possono agire invece di subire, e che agire è una scelta di libertà. La libertà di escludere fin dall’inizio un uomo violento dalla propria vita, imparando a non scambiare la violenza per amore.
E’ nata da un’idea di Anna Paola Concia, parlamentare PD, da anni impegnata nella battaglia sui diritti delle donne e delle minoranze sessuali, di Alessandra Bocchetti, teorica del pensiero della differenza, e di Eliana Frosali, copywriter dell’agenzia di pubblicità Saatchi&Saatchi a Roma.
Si tratta di sette manifesti, ognuno con un consiglio per evitare la violenza.Le protagoniste sono sette ragazze normali, né veline né stereotipi: si tratta di allieve dell’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma, che hanno anche curato lo scatto delle foto.
L’idea visiva è un grande rettangolo nero che nasconde il viso dell’uomo, su cui campeggia il claim: La violenza ha mille volti. Impara a riconoscerli.
Il volto coperto dell’uomo, oltre a relegarlo nell’anonimato, fa sì che siano le donne ad essere protagoniste della campagna, perchè protagoniste delle proprie vite, chiamate ad agire per mettere fine alla violenza che subiscono. Il tema è infatti il cambiamento, attraverso la capacità delle donne di guardare più lucidamente chi si ha accanto e di reagire alla violenza maschile.
Mentre il sorriso della ragazza, oltre a contrapporsi esplicitamente alla vittimizzazione caratteristica di quasi tutte le campagne su questo tema, allude alla “liberazione dalla violenza”, ma può suggerire l’idea che anche donne “normali” e sorridenti, in realtà vivono storie drammatiche.
I messaggi sono semplici e immediati: Un violento non merita il tuo amore. Merita una denuncia - Gli schiaffi sono schiaffi. Scambiarli per amore ti può far molto male - Se il tuo sogno d’amore finisce a botte, svegliati. E quello forse più incisivo: Non sposare un uomo violento. I bambini imparano in fretta.
Un’altra novità è che si tratta di una campagna creative commons, che può essere adottata e scaricata gratuitamente da internet, nello spirito di condivisione che anima oggi la rete e le iniziative no profit. “Tutte e tutti, privati cittadini, fondazioni, circoli culturali, aziende, amministrazioni locali, istituzioni, emittenti televisive sono invitati a farla circolare – chiarisce Paola Concia- sia attraverso i canali tradizionali, sia attraverso siti, blog, pagine facebook e ogni altro strumento che possa supportare una campagna fotografica”.
Per informazioni e adesioni: e-mail: info@riconoscilaviolenza.it
oppure il sito www.riconoscilaviolenza.it




venerdì 26 febbraio 2010

LA PROSTITUZIONE

La prostituzione, tema che ci interroga, ci infastidisce e ci coinvolge prima di tutto come donne
ed ecco che navigando in rete nello stesso giorno trovi due pezzi di senso e segno opposto, ve li offro in riflessione:

Punire il cliente. La strada svedese

di Chiara Valentini

A 10 anni compiuti dalla legge più innovativa sulla prostituzione mai approvata al mondo, la Svezia sta facendo i conti con i risultati ottenuti e cerca allo stesso tempo di far conoscere meglio all’estero il suo modello. Che spesso, in particolare in Italia, viene ancora considerato come una specie di stravaganza nordica, se non come un mezzo fallimento.

Non c’è dubbio che la scelta di dichiarare punibile il cliente e di considerare invece la donna come una vittima aveva rovesciato una logica orientata da sempre a criminalizzare le prostitute e a lasciar tranquilli i loro utilizzatori. Ancora più difficili da digerire le ragioni di quella scelta, enunciate nell’articolo 1 della legge: «La prostituzione è una forma di violenza dell’uomo verso la donna». Dietro quel testo c’era in effetti l’elaborazione di un femminismo come quello svedese, capace di influenzare l’opinione pubblica e di lavorare anche dentro i partiti, in quello socialdemocratico in particolare, e dentro le istituzioni. C’era un parlamento dove la rappresentanza femminile era arrivata al 45 per cento e dove i temi delle donne erano al centro di discussioni e indagini innovative. Come ha raccontato in un’intervista Gunilla Ekberg, l’avvocata femminista che aveva lavorato al disegno di legge, «fino ad un certo momento avevamo considerato la prostituzione come un fenomeno a sé stante. La svolta è avvenuta quando ci siamo rese conto che si trattava invece di una delle forme della violenza maschile nei confronti del nostro sesso». Avevano portato a questo risultato non tanto le analisi teoriche, quanto i molti studi e ricerche fatti negli anni precedenti sulle prostitute svedesi. In tutte le loro storie, in un modo o nell’altro, c’erano abusi familiari infantili, stupri subiti da amici di famiglia o compagni di scuola o condizioni di disagio estremo e di emarginazione sociale. In altre parole, nel contesto svedese erano molto rare le donne che facevano della prostituzione una libera scelta di vita. Ed ecco allora il testo che proibisce “l’acquisto di prestazioni sessuali”, punendo anche penalmente chi compra sesso ma non chi lo offre e che viene considerata invece una vittima da proteggere e aiutare.

www.ingenere.it

Non abbiamo papponi. Non abbiamo subito violenza durante la nostra infanzia, né dopo del resto. Non siamo drogate. Non siamo mai state obbligate a prostituirci. Non abbiamo angosce post-traumatiche. Non siamo infelici. Sì, abbiamo una vita sentimentale. Abbiamo amici e amanti. Siamo impegnate nella lotta contro ogni discriminazione. Svolgiamo un lavoro stigmatizzato. Abbiamo scelto questo mestiere. Vogliamo gli stessi diritti degli altri. Siamo puttane e ne siamo fiere”: così recita il ‘manifesto’ dell’orgoglio delle prostitute da poco pubblicato in Francia. Fiere di essere puttane (Derive&approdi 12 euro) è un libro che sfata i luoghi comuni che di volta in volta indicano nella prostituzione una forma di asservimento, una piaga sociale, un’emergenza da gestire come ordine pubblico. Un libro scritto da due prostitute, Maîtresse Nikita e Thierry Schaffauser, protagoniste di un movimento che chiede rispetto e diritti per quelle e quelli che hanno scelto di esercitare la professione più antica del mondo. “Si capisce subito leggendo le prime pagine di questo libro che non siamo nel campo teorico dell’antropologia sociale, bensì nella pratica quotidiana che vede le/i sex workers destreggiarsi per far fronte a quello che è un autentico attacco criminogeno dello Stato contro di loro - scrive nella prefazione Pia Covre, esponente del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute (Cdcp) – Il linguaggio diretto e schietto che Maîtresse Nikita e Thierry Shaffauser usano per raccontare come abbiano deciso di prendere la parola e avviare una lotta contro la legge di sicurezza, la discriminazione e lo stigma della ‘puttana’ ha un effetto dirompente. È una accusa chiara e lucida verso chi ha la responsabilità politica e di governo di un fenomeno sociale, la prostituzione, che in Francia già dal 2003 è stata al centro delle politiche di Sarkozy sulla sicurezza. In Francia dal 2003, come in Italia oggi, si alimentano le paure, si crea artificiosamente un nemico, si risponde quindi all’insicurezza sociale creata.