sabato 12 dicembre 2009

Il processo breve e la violenza alle donne

Mi chiedevo da alcuni giorni se la proposta di processo breve avrebbe avuto delle ricadute negative sui processi per violenza alle donne ho trovato questo scritto che vi sottopongo

PERCHE’ DICIAMO NO AL PROCESSO BREVE
Se il progetto di legge sul “processo breve” verrà approvato, dovranno svolgersi nell’arco di due anni, pena l’estinzione, i processi per i reati di “violenza sessuale” nell’ipotesi di minore gravità, nonché di “atti sessuali con minorenne che ha compiuto 16 anni” nell’ipotesi in cui a commetterli siano l’ascendente, il genitore anche adottivo, il di lui convivente o il tutore del minore stesso.Ci chiediamo se il non prevederne l’esclusione, sia stata una dimenticanza oppure l’aver considerato “non gravi” questi reati: in entrambi i casi il risultato ci appare disastroso!Da anni, come avvocati, difendiamo nei processi le vittime di reati sessuali, da anni raccogliamo la loro sofferenza e ci facciamo loro portavoce nelle sedi giudiziarie. Per questo sappiamo che, a volte, un processo ha bisogno di tempo e che questo tempo non può essere determinato a priori.Non siamo disposte a considerare meno gravi i palpeggiamenti, gli strusci e qualsiasi altro comportamento che offenda la libertà sessuale delle persone!Non vogliamo che gli autori di questi reati rimangano impuniti per “questioni di tempo”!Le aggressioni nella sfera sessuale lasciano segni indelebili: non occorre aggiungerci, anche, la beffa di una mancata giustizia!Chiediamo che il parlamento modifichi il testo della legge che andrà a discutere escludendo, dalle norme sul processo breve, tutti i reati contro la libertà personale.
Gli avvocati di SVSDAD (Soccorso Violenza Sessuale Ospedale Mangiagalli Milano – Donna Aiuta Donna)

mercoledì 4 novembre 2009

IL VALORE DEI SIMBOLI

Alla notizia della sentenza di Strasburgo sull'esposizione del crocifisso nelle scuole italiane mi è venuto di getto un meno male!! Volevo scrivere due righe per spiegare perchè sono pienamente d'accordo con la sentenza che considero civile e rispettosa soprattutto del valore che i credenti dovrebbero dare ad un simbolo che tanto rappresenta per tutti i cristiani.
Ho trovato in internet il pezzo che segue che esprime con chiarezza il mio pensiero e quindi lo replico per farvene partecipi.
La banalizzazione di un simbolo
Blog europe di Andrea Bonanni la repubblica.it 4.11.2009
Premetto due cose, non necessariamente collegate tra loro. La prima è che non sono credente. La seconda è che trovo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contraria all’obbligo del crocifisso nelle aule un segno di civiltà giuridica e culturale. Ancora una volta, parafrasando la canzoncina dei berlusconiani, mi viene da dire: “per fortuna che l’Europa c’è”. Fatte queste dovute premesse, mi stupisco un po’ della reazione scomposta delle gerarchie cattoliche. Per un cristiano, il crocifisso dovrebbe essere, ancora di più che per un ateo come me, un simbolo sublime e terribile. La sua banalizzazione come soprammobile, confuso con i banchi, la lavagna e le altre suppellettili scolastiche, dovrebbe essere, quello sì, un sacrilegio. E la giustificazione del crocifisso nelle scuole come una fatto consuetudinario dovrebbe suonare alle orecchie dei buoni cristiani come una vera e propria bestemmia.Vietando la imposizione fuori contesto del Cristo, e del suo supplizio, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la sua piena e terribile dignità ad un simbolo religioso. Quella stessa dignità che la Chiesa gli nega difendendone la banalizzazione quotidiana e obbligatoria.

lunedì 2 novembre 2009

MENO MALE CHE ESISTONO ANCHE QUESTI UOMINI

VIOLENZA
Da uomo a uomo, un appello di ‘Maschile Plurale’(Roma)
Sono un uomo e vedo la violenza maschile intorno a me. Vedo anche, però, il desiderio di cambiamento di molti uomini. Scelgo di guardare in faccia quella violenza e di ascoltare quel desiderio di cambiamento. So che quel desiderio è una risorsa per sradicare quellaviolenza. Di fronte alle storie di mariti che chiudono le mogli incasa o le ammazzano di botte, di fidanzati che uccidono per gelosia le proprie ragazze, di uomini che aggrediscono o stuprano donne in un parco o in un garage, non penso "Sono matti, ubriachi o magari isoliti immigrati !", non mi viene da dire: "Quella se l'è cercata!".Tutto questo mi riguarda, ci riguarda. Quando sento giudicare gli immigrati come una minaccia alle "nostre donne" ricordo che la violenza contro le donne non nasce nelle strade buie, ma all'interno delle nostre case, ed è opera di tanti uomini, italiani e non, che picchiano e uccidono le "proprie" donne. Quando osservo l'ironia, il disprezzo, la discriminazione che precedono la violenza controlesbiche e gay non penso: "Facciano quel che gli pare, ma a casaloro". So che mi riguarda, ci riguarda: quell'ironia e quel disprezzo li conosco fin da piccolo, sono una minaccia per chi non si comporta"da uomo". La libertà di amare chi vogliamo e come vogliamo o è di tutti o non è di nessuno. Quando penso alle donne, spesso straniere, costrette a prostituirsi, prive di diritti, alla ricerca di difficili vie di uscita, non penso che "rovinano il decoro delle città". Vedo nella loro vita l'effetto di un razzismo che avanza. La prostituzione, scelta od obbligata, parla innanzitutto dei nove milioni di clienti italiani e della sessualità maschile ridotta alla miseria dello sfogo e del consumo. Credo che la violenza contro omosessuali e trans, la diffusa richiesta di ordine e sicurezza, la crescente ondata di disumanizzazione dei migranti, il razzismo, l'egoismo dilagante, abbiano a che fare con le relazioni tra i sessi: la paura e il disprezzo verso le differenze sono una tossina che avvelena la nostra società. Ogni giorno sento il richiamo verso ogni uomo ad essere complice di questa cultura e ad aderire all'ideologia della mascolinità tradizionale. Sono stanco della retorica della patria, del nemico e dell'onore, della virilità muscolare e arrogante. Quando assisto all'ostentazione di sé da parte di chi usa soldi epotere per disporre delle donne, sento che quell'ostentazione è misera, squallida e anche triste. Sono secoli che gli uomini comprano, impongono, ricattano e scambiano sesso per un posto di lavoro o per denaro. La novità sta nel vantarsene, strizzando l'occhio agli altri uomini in cerca di complicità. Non ci stiamo, e non per invidia o moralismo. Non ci interessa l'alternativa tra il consumo del corpo delle donne e l'autocontrollo perbenista. Al potere preferiamo la libertà, la libertà di incontrare il desiderio libero delle donne, compreso, eventualmente, il loro rifiuto. Quando il disprezzo per le donne, l'ostentazione del potere e le minacce contro i gay e gli stranieri diventano modelli di virilità da usare a scopi politici, capisco e sento che devo e dobbiamo reagire: come uomini prima ancora che come cittadini. Sentiamo la responsabilità di impegnarci, come uomini, contro la violenza che attraversa la nostra società e le nostre relazioni. Non vogliamo limitarci alle "buone maniere" e al "politicamente corretto". Non ci sentiamo "protettori" né"liberatori". Sappiamo che le donne non sono affatto "deboli". La loro libertà, la loro autonomia, nel lavoro, nelle scelte di vita, nella sessualità, non sono una minaccia per noi uomini e nemmeno una concessione da far loro per dovere. Sono un'opportunità per vivere insieme una vita più libera e ricca. Non ci basta dire che siamo contro la violenza maschile sulle donne. Desideriamo e crediamo in un'altra civiltà delle relazioni tra persone, una diversa qualità della vita, libera dalla paura e dal dominio. Vogliamo vivere una sessualità che sia altro dalla conferma della propria virilità e del proprio potere. Molti uomini hanno finora vissuto questo tentativo di cambiamento individualmente, cercando un modo nuovo di essere padre, una diversa relazione con la propria compagna, un modo diverso distare con gli altri uomini, un rapporto diverso con il lavoro. Questa ricerca è però spesso rimasta solitaria e invisibile, senza parole. Vogliamo esprimerci in prima persona, vogliamo che il desiderio di libertà e di cambiamento di migliaia di uomini diventi un fatto collettivo, visibile, capace di parlare ad altri uomini. Il 21novembre a Roma, in Piazza Farnese, dalle ore 15,30 alle 19,30 ,un'iniziativa nazionale aperta a uomini e donne di MASCHILEPLURALE perinfo info@maschileplurale.it, http://www.maschileplurale.it(Delt@ Anno VII, N 201 del 29 ottobre 2009)

mercoledì 7 ottobre 2009

LO SPAZIO PUBBLICO SI FEMMINILIZZA, MA SCOMPARE IL CONFLITTO TRA I SESSI

di Lea Melandri da www.zeroviolenzadonne.it

Il sussulto di “dignità” e l’invito che oggi, da schieramenti diversi, viene rivolto alle donne, affinché si ribellino all’immagine degradante con cui sono rappresentate dalla pubblicità e dalla televisione, non deve trarre in inganno. Il corpo femminile occupa la scena mediatica da molti anni, l’immaginario pornografico maschile ha contaminato ormai ogni ordine di discorso e di linguaggio, l’esibizione e il voyeurismo, sapientemente amalgamati dai reality show, sono subentrati, se mai è esistita, alla fruizione passiva dello spettatore. Il risveglio improvviso di coscienze morali offese, di intelligenze femminili “umiliate” dalla mercificazione che si fa del loro sesso, è venuto al seguito di vicende che non potevano lasciare indifferenti, perché avevano come protagonista una delle maggiori cariche dello Stato, il Presidente del Consiglio, e come materia scottante prestazioni sessuali scambiate indifferentemente con denaro, carriere politiche o televisive.
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lunedì 28 settembre 2009

Il nostro corpo, fino a quando lo lasceremo usare???

Basta,
sono stufa di sentire come vengono trattate le donne, sono stufa di sentire che gli uomini italiani (tutti?!!!!!?) invidiano Lui perchè ha successo con le donne....
Perchè credete ne nessuno in Italia si scandalizzi abbastanza per essere rappresentato da un buffone che invece di preoccuparsi di come vanno le cose e della crisi si occupa delle sue attività personali.
Questa italia, questi italiani (che in realtà è proprio vero lo invidiano) sono il risultato di 20 anni di televisione che ha creato una cultura becera, maschilista che adesso sta semplicemente venendo sdoganata anche a livello nazionale, internazionale e quindi nessuno ha più bisogno di vergognarsi di quello che pensa. Grazie, non posso fare altro che ringraziare che sia normale pubblicizzare un dentifricio, uno yogurt con il corpo nudo di una donna e poi sentirsi dire che se si è state violentate è perchè certi modi di vestire provocano gli uomini....

giovedì 2 aprile 2009

Violenza: un discorso da mettere sottosopra

Anche negli anni '70 non mi sentivo fisicamente insicura. Camminavo a notte fonda nelle vie di Milano, dopo quelle riunioni di donne, lunghe lunghe, e tornavo a casa piena di pensieri e di emozioni. Radiante. Non ci pensavo quasi mai, ma avevo la sensazione che fossimo padrone delle strade, che niente ci avrebbe colpito. Prendendo la parola con le altre donne, mi stavo riappropriando di uno spazio interno e credo fosse questo che mi/ci faceva sentire inviolabili (ricordo di altre che dicevano la stessa cosa). Solo noi potevamo dare accesso ai nostri corpi, come alle nostre menti e cuori (quanto si parlava di sessualità e di penetrazione!). Intendiamoci: so bene che cosa vuol dire sentire il proprio corpo troppo visibile, come se il solo fatto di portarlo in giro in luoghi pubblici, lo rendesse aggredibile, violabile. Ma prendere la parola mi andava trasformando anche nel rapporto con lo spazio pubblico (la faccio facile, ma non è facile e non è mai finita, anche se l'invecchiamento, insieme al resto, cambia le cose).Poi accadeva qualcosa, la violenza, e ne restavo sorpresa e intristita, ma non messa in discussione nelle mie convinzioni più profonde. Così mi lasciavano estranea le manifestazioni come Riprendiamoci la notte: capivo il valore politico, ma mi rimettevano in una fragilità e insicurezza che non provavo. Forse, sotto sotto, proprio per questo motivo mi infastidivano.
Anche adesso si parla molto di violenza e torno a leggere di corpi femminili fragili ed esposti, da proteggere, da fortificare, da rassicurare. Anche con le migliori intenzioni. Sono stanca di questi discorsi. Non ci credo, anzi ci credo ancor meno di trent'anni fa.
Non voglio più parlare del come e del quanto vengono esposti i corpi femminili, perlomeno non voglio parlarne in relazione al tema della violenza maschile.
In questa storia ci sono degli esseri umani normali, con tutte le loro varietà, e sono le donne. Non particolarmente fragili, anzi perlopiù assai resistenti, insomma normali.E poi degli esseri umani, gli uomini, che hanno un problema: un potenziale di violenza. Non siamo noi donne il problema, smettetela di parlare di noi.Vorrei invece che il problema fosse nominato per quello che è. E quindi vorrei non leggere mai più un titolo di giornale che dice "un'altra donna stuprata" o picchiata, ma "un altro uomo ha perso il controllo" l'ennesimo maschio ha aggredito. Vorrei che gli uomini, tutti gli uomini, giornalisti, intellettuali e politici compresi, incominciassero a pensarsi davvero come portatori sani di qualcosa che può diventare molto pericoloso e con cui solo loro possono fare i conti. Qualcosa su cui, quando vogliono far bene, cercano di esercitare censura, che evitano di far emergere e guardare in faccia. E quindi evitano perfino di nominare, preferendo indirizzare le loro emozioni sulla pietas per i poveri corpi femminili. Qualcosa di così evidente e macroscopico che scompare, che non può essere visto se non c'è la precisa volontà di nominarlo.Per questo vorrei che tutti quegli uomini facessero a gara per diventare testimonial di messaggi corretti e consapevoli nei confronti dei giovani maschi. Vorrei che organizzassero tavole rotonde e dibattiti in cui discutono e si accapigliano sul loro rapporto con l'aggressività e il potere.Che sentissero (intellettualmente, emotivamente, politicamente) il gravissimo rischio che rappresenta per tutti loro e per le giovani generazioni di maschi, la loro incontrollabile tendenza a ricostruire e ricompattare, a ogni livello, la coorte maschile. E che manifestassero, proprio per questo motivo e non perché politicamente corretto in una logica paritaria da maschio democratico, l'urgenza di presenze femminili.Quanto a me, da un uomo non voglio essere né aggredita né protetta (e le ronde non possono in ogni caso funzionare proprio perché non viene nominata e riconosciuta la natura della violenza). Vorrei che entrasse in relazione con me, da uomo che sa di esserlo.
4 marzo 2009 Giordana Masotto
da Newsletter N° 3 - http://www.libreriadelledonne.it/

domenica 22 febbraio 2009

Nel carcere dei "sex offenders"

IN QUESTI GIORNI IN CUI SI FA UN GRAN PARLARE DI VIOLENZA ALLE DONNE continuavo a sentirmi a disagio,
cosa significa relamente per le donne violentate aggravare la pena? Quando solo il 4% delle donne denunciano le violenze subite?
cosa significa mandare i galera i colpevoli, se quando escono sono esattamente come prima, e quindi pronti a riprendere le loro violenze?
perchè si continua ad insistere sulle violenze commesse dagli stranieri, mistificando così la realtà, che registra invece violenze fatte da mariti, fidanzati, amici, colleghi ed ex mariti - fidanzati - amici
poi ho letto un articolo su Repubblica e forse mi viene da consigliare i politici che forse la cosa da fare, invece delle ronde, sarebbe che questa esperienza diventi la normalità perchè dei pochi violentatori, maltrattatori e uccisori di donne che vengono denunciati e condannati almeno il loro stare in carcere serva a cambiare mentalità in modo che una volta usciti non replichino le loto violenze.
Se volete leggetelo..

Nel carcere dei "sex offenders" "Qui riusciamo a recuperarli"

di STEFANIA CULURGIONI Repubblica 22/02/2009

MILANO - Nella subcultura carceraria sono "gli infami". Nel gergo tecnico di psicologi e operatori penitenziari sono i "sex offenders". Qualunque sia il modo di chiamarli, una cosa è certa: quando entrano in galera, le persone che si sono macchiate di un reato sessuale vengono spedite dritte nei reparti protetti, e lì confinate. Separate da tutti, isolate dal resto dei detenuti, esiliate in un girone a parte. Ovunque, tranne nel carcere di Bollate.
Si chiama "Progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in Unità di Trattamento Intensificato e sezione attenuata" ed è una sperimentazione avviata nell'istituto di reclusione milanese solo tre anni fa. L'unico caso in Italia in cui, dopo un anno di terapia in un'unità specializzata all'interno del carcere, i detenuti possono lasciarsi alle spalle il reparto protetto e vivere quotidianamente insieme agli altri detenuti di reati "comuni".
"I sex offenders seguono un trattamento avanzato - spiega la direttrice del carcere Lucia Castellano - un percorso studiato appositamente per chi ha commesso reati sessuali. Qui a Bollate in questo momento sono trenta persone, su un totale di 750 detenuti. E in questi tre anni posso dire che il progetto ha dato i suoi frutti. Su 80 soggetti, solo tre sono stati recidivi e uno di loro ha chiesto di tornare per continuare le terapie".
Considerato uno degli istituti penitenziari più all'avanguardia, il carcere di Bollate è nato nel 2000 con un obiettivo: offrire all'utenza detenuta quante più possibili opportunità lavorative, formative e socio - riabilitative. Un modo costruttivo per abbattere il rischio di recidiva e favorire il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. "Perché una cosa è certa - continua la direttrice - pensare al carcere come a un luogo in cui si prende la chiave e la si butta via, non ha alcun senso. Non serve a niente. Il modo migliore per evitare che questi gravissimi fatti si ripetano ancora è accompagnare la galera a dei percorsi sensati. Non farsi prendere dall'onda emotiva, studiare bene le misure da adottare per evitare la recidiva. Affrontare il problema con razionalità. E poi, infine, 'sperare' nel soggetto. Perché più di ogni altra cosa, la scelta del recupero dipende dalla persona".
È il "violentatore", cioè, che deve dire "sì, voglio guarire". E i mezzi per farlo, a Bollate, li ha. L'équipe che si occupa di seguire i sex offenders nel loro percorso fa parte del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) di Milano. Un team composto da tre criminologi, sette psicologi, uno psichiatra, due educatori, un'arteterapeuta e uno psicomotricista. "La novità di Bollate sta nel fatto che è stata creata una vera e propria unità terapeutica a sé stante, interna al carcere, come se fosse una piccola comunità" chiarisce lo psicologo Luigi Colombo.
Ed è lì che, giorno dopo giorno, per un anno di fila, i colpevoli di reati sessuali devono affrontare il loro mostro interiore. "Il lavoro ha una cadenza giornaliera - continua Colombo - I colloqui sono individuali e di gruppo e tutto il progetto è incentrato sul riconoscimento del reato. Perché se c'è una cosa che il sex offender fa è proprio questa: negare, negare, negare. In carcere la negazione è usata per difendersi dagli altri. La cosa più facile e più frequente è cercare di dimostrare al compagno di cella ma anche allo stesso operatore che è tutta un'invenzione, che si è innocenti, che si è vittime di un tragico errore. Questo serve a mettersi al riparo dalle critiche e anche a difendersi da se stessi. Ed è lo stesso meccanismo che si mette in atto dentro la famiglia, con la propria moglie o con la propria compagna, quando ancora non si è finiti in galera. Distorsioni della realtà a cui, troppo spesso, si finisce per credere".
Il lavoro principale degli psicologi, allora, è quello sulla negazione. E quando è finito, comincia la seconda parte: la vita fuori dal reparto protetto, in mezzo agli altri detenuti. "All'inizio, tre anni fa, non è stato facile - ricorda Lucia Castellano - gli 'altri' reagirono molto male, qualcuno decise di chiedere un trasferimento perché proprio non se la sentiva. Ma chi entra a Bollate oggi sa bene quello cui può andare incontro: se firma, accetta la possibilità di condividere la propria cella anche con un sex offender".
La maggior parte, stando ai numeri di Bollare, sono italiani che hanno commesso reati sessuali all'interno della famiglia. Padri su figlie, o patrigni su figli adottivi, spesso con la connivenza della madre. A volte amici dei genitori, ma comunque quasi sempre persone nel cerchio familiare. "Spesso si tratta di persone che hanno un comportamento esteriore molto contenuto, inibito, passivo - spiega Colombo - I reati di branco invece sono più limitati. Li commettono persone che hanno imparato un modello aggressivo di sessualità. Soggetti emarginati che utilizzano la violenza per rafforzare la propria identità virile. Lo fanno in gruppo perché, davanti agli altri, dimostrano a loro stessi di essere forti".
Per tutti loro stare in mezzo agli altri detenuti è un passo decisivo. "E' una specie di banco di prova per anticipare il proprio rientro nella società - continua lo psicologo - una società in cui, volenti o nolenti, saranno sottoposti a dure critiche".
Il CIPM segue in tutto circa 200 persone (una trentina dentro al carcere, gli altri in esecuzione penale esterna. Far emergere questi reati, in realtà, è davvero difficile. Le violenze sessuali sono quelle con il "numero oscuro" più alto di episodi non denunciati. "Ma una volta presi - ribadisce la direttrice - è necessario che vengano messi davanti quello che hanno fatto. Il carcere deve essere anche il momento della consapevolezza, il luogo in cui riflettere sulla propria personalità, per capire perché si ha avuto il bisogno di aggredire. Solo così, forse, una volta fuori il sex offender non ripeterà più quelle terribili violenze".

venerdì 30 gennaio 2009

LO SMEMORATO DI BRUSSON

Leggo su Informazione, che ho appena ricevuto, la cronaca dell'incontro tra cittadini e "autorità" politiche sull'ampliamento dell'aeroporto di Saint Christophe.
Leggo ed allibisco:
sembra che Rollandin sia l'erede di una serie di decisioni prese dai presidenti precedenti e quindi, non potendo fare niente, sia obbligato ad andare avanti.....e che comunque il conto che pagheremo noi valdostani è poca cosa, in confronto alle nostre disponibilità.
Ripenso, ricordo e allibisco:
ero consigliera comunale a Saint Christophe nella legislatuta 1985-1990, legislatura nella quale l'amministrazione regionale, nella forma dell'allora presidente Rollandin, chiese e ottenne che il Comune di Saint Christophe vendesse (cedesse) i terreni di sua proprietà per l'ingrandimento dell'aeroporto.
Mi ricordo in particolare una delle prime (nel tempo) visite pastorali della giunta al consiglio comunale di Saint Christophe, nel corso della quale il presidente Rollandin in persona mi chiese perchè ero così contraria alla cessione dei terreni, io risposi che non ero contraria o favorevole, ma non avendo avuto la possibilità di esaminare un progetto e di capire cosa avrebbe significato per gli abitanti e per il paese di Saint Christophe l'ampliamento dell'aeroporto ciò mi rendeva impossibile dare un parere positivo o negativo.
Bè io mi ricordo la risposta di Rollandin "finchè non siamo proprietari dei terreni non progettiamo niente" e quindi andare sulla fiducia bisognava............
fiducia che tutte le promesse fatte sarebbero state mantenute e che nessun disturbo sarebbe venuto alla popolazione del paese e sì, io mi ricordo..................................
e mi dispiace che non sia riuscito a pensare cosa farne dell'aeroporto in tutti questi anni, forse era altrove occupato e un progetto così poco significativo non meritava la sua attenzione.

FINALMENTE UN PEZZO

Finalmente il parlamento italiano è riuscito, in parte, ad approvare un disegno di legge sullo stalking.
Parola che ai molti non dice tanto tanto ma che alle migliaia di donne perseguitate da ex findanzati, mariti, compagni che trovano mille modi per perseguitarle dopo la fine di un rapporto affettivo dice molto.
Finalmente anche in italia questi comportamenti (che spesso sono sfociati nella morte delle donne) sono diventati un reato perseguile per se stesso.....
è solo un primo pezzo
per eliminare la violenza nei confronti delle donne è necessario ancora un lungo cammino, fatto soprattutto di cambiamenti culturali, perchè è solo con una mentalità diversa, basata sul rispetto reciproco che questa potrà diminuire fino a scomparire