domenica 6 giugno 2010

LE DONNE E IL LAVORO

Di seguito, per sollecitare una riflessione, uno stralcio dall'articolo di Rossana Rossanda sul Manifetso in merito alle proposte contenute nel Manifesto sul lavoro femminile della Biblioteca delle donne di Milano, in particolare sul fatto ceh le donne dovrebbero diminuire il lavoro per dedicarci ai figli

Madri flessibili

Scrivono ora Lia e le donne di via Dogana: ma è una disgrazia? Non saremmo più felici se ci facessimo guidare dal desiderio invece che dalle passate ideologie, che ci hanno stretto al lavoro fisso e a tempo pieno, strozzando il nostro bisogno di stare con i figli? D'altra parte il desiderio ci suggerisce di essere madri, ma anche di accedere a quella ricchezza di rapporti che il lavoro domestico riduce. Lavoro è fatica ma anche socialità, a volte perfino una soddisfazione. Non solo sfruttamento. Diciamo dunque due volte sì, alla maternità e al lavoro.

Però, per essere vivibile il «doppio sì» non può comportare sedici ore di lavoro al giorno, otto pagate in azienda, due nei trasporti e sei in famiglia non pagate: si crepa di fatica. Guardiamo con occhio benevolo al tempo parziale, al contratto flessibile e atipico che l'impresa ci offre più facilmente. Riduciamo il tempo del lavoro esterno, facciamo quattro più due più quattro, o flessibilizziamolo, calcolandolo non a tempo (che troveremo nei pertugi) ma a risultato. Insomma mamma e impresa si possono incontrare, l'impresa gradisce avere una lavoratrice, come si diceva una volta dell'auto, just in time, e la mamma ha bisogno di essere più libera. Così il lavoro si femminilizza, aggiunge qualche amico entusiasta: le donne sono sempre di più, per meno tempo, più flessibili, non hanno la fissa della lotta di classe, della rigidità delle norme e dei diritti, d'un impiego pieno per la vita e con pensione successiva. Nel loro tempo, breve e articolato, portano le loro assai tradizionali qualità, precisione, cura, fluidità, scarsa conflittualità.

Bel quadro ma non convincente. Sono i tempi e i conti che non tornano. Per realizzare felicemente il doppio sì occorrerebbero due condizioni; che il servizio pubblico garantisse una struttura professionale semigratuita per accudire la casa e i bambini mentre lei lavora, e che l'impresa pagasse la lavoratrice almeno come un uomo, dovendo provvedere a una piccola creatura. Se non ci sono queste due condizioni, come è stato in alcuni paesi scandinavi, il mezzo tempo non basta per vivere e tanto meno per pagare l'altra donna cui affidare la casa e i figli.

Il miraggio del welfare state

Le due condizioni in Italia non ci sono. Salvo in alcune città, il servizio pubblico non esiste o è ai minimi, e la Ue non fa che chiedere di ridurre la spesa pubblica almeno fino al 2013. I salari (per non parlare della mancanza di impieghi in tempo di crisi) tendono a degradarsi al precariato, che obbligandoti a pensare al mese in cui sarai sospesa, non ti invita certo a programmare una maternità. Paradossalmente, la proposta della Libreria implicherebbe quella società comunista a redistribuzione totale e mirata, che è stata buttata alle ortiche anche come miraggio da trent'anni in qua. E non abbiamo anche noi sussurrato, se non sbaglio, meno stato più mercato?

Nel mercato, e per di più deregolato, la cura della casa e di un figlio va pagata, a meno di non metterlo gratis sulle ginocchia di qualche nonna o zia, eternizzando la gratuità del lavoro femminile di cura, che solo chi non lo ha mai fatto può ritenere tutto gioia e piacevolezza. Nel mercato, con i pochi soldi che abbiamo, cercheremo di pagare la badante (come la chiama Bossi) il meno possibile; e non c'è limite alla corsa in basso delle remunerazioni in tempo di penuria, così anche noi mettiamo un ginocchio sul collo delle migranti. Stiamo male tutte e due perché le statistiche europee confermano che le donne sono retribuite (se va bene come in Francia) il 20 per cento meno degli uomini. In un'occupazione regolare.

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