Madri flessibili
Scrivono ora Lia e le donne di via Dogana: ma è una disgrazia? Non saremmo più felici se ci facessimo guidare dal desiderio invece che dalle passate ideologie, che ci hanno stretto al lavoro fisso e a tempo pieno, strozzando il nostro bisogno di stare con i figli? D'altra parte il desiderio ci suggerisce di essere madri, ma anche di accedere a quella ricchezza di rapporti che il lavoro domestico riduce. Lavoro è fatica ma anche socialità, a volte perfino una soddisfazione. Non solo sfruttamento. Diciamo dunque due volte sì, alla maternità e al lavoro.
Però, per essere vivibile il «doppio sì» non può comportare sedici ore di lavoro al giorno, otto pagate in azienda, due nei trasporti e sei in famiglia non pagate: si crepa di fatica. Guardiamo con occhio benevolo al tempo parziale, al contratto flessibile e atipico che l'impresa ci offre più facilmente. Riduciamo il tempo del lavoro esterno, facciamo quattro più due più quattro, o flessibilizziamolo, calcolandolo non a tempo (che troveremo nei pertugi) ma a risultato. Insomma mamma e impresa si possono incontrare, l'impresa gradisce avere una lavoratrice, come si diceva una volta dell'auto, just in time, e la mamma ha bisogno di essere più libera. Così il lavoro si femminilizza, aggiunge qualche amico entusiasta: le donne sono sempre di più, per meno tempo, più flessibili, non hanno la fissa della lotta di classe, della rigidità delle norme e dei diritti, d'un impiego pieno per la vita e con pensione successiva. Nel loro tempo, breve e articolato, portano le loro assai tradizionali qualità, precisione, cura, fluidità, scarsa conflittualità.
Bel quadro ma non convincente. Sono i tempi e i conti che non tornano. Per realizzare felicemente il doppio sì occorrerebbero due condizioni; che il servizio pubblico garantisse una struttura professionale semigratuita per accudire la casa e i bambini mentre lei lavora, e che l'impresa pagasse la lavoratrice almeno come un uomo, dovendo provvedere a una piccola creatura. Se non ci sono queste due condizioni, come è stato in alcuni paesi scandinavi, il mezzo tempo non basta per vivere e tanto meno per pagare l'altra donna cui affidare la casa e i figli.
Il miraggio del welfare state
Le due condizioni in Italia non ci sono. Salvo in alcune città, il servizio pubblico non esiste o è ai minimi, e la Ue non fa che chiedere di ridurre la spesa pubblica almeno fino al 2013. I salari (per non parlare della mancanza di impieghi in tempo di crisi) tendono a degradarsi al precariato, che obbligandoti a pensare al mese in cui sarai sospesa, non ti invita certo a programmare una maternità. Paradossalmente, la proposta della Libreria implicherebbe quella società comunista a redistribuzione totale e mirata, che è stata buttata alle ortiche anche come miraggio da trent'anni in qua. E non abbiamo anche noi sussurrato, se non sbaglio, meno stato più mercato?
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